Il teatro permette di lavorare su di sé potendo sperimentare parti di noi stessi, nascoste, lontane, o che neppure conosciamo, ma che possiamo vivere nel qui e ora dello spazio scenico.
Il TeatroCounseling® utilizza, da una parte, il training teatrale e le tecniche dell’improvvisazione, [tecnica spontanea e creativa] per entrare in contatto con la nostra parte inconscia e, dall'altra, le pratiche della relazione d’aiuto di Carl Rogers [fondatore del Counseling e della Psicologia Umanistica] con un preciso riferimento alla terapia centrata sul cliente.
Carl Roges osserva che “la vita è un processo attivo, non passivo. Sia che lo stimolo derivi dall’interno o dall’esterno, sia che l’ambiente sia favorevole o sfavorevole, è certo che l’organismo è teso ad assumere comportamenti tali da mantenere, migliorare e riprodurre se stesso.”
Un incontro di TeatroCounseling® di gruppo si sviluppa in tre parti:
Durante questa fase possono essere proposti:
Il fine è quello di creare un clima ludico, positivo, di fiducia reciproca così che sia più facile per i partecipanti aderire alle proposte lasciando agire la parte più istintiva, fisica, emozionale. Non solo, in questa fase il Teatro Counselor avrà cura di scegliere esercizi, giochi e attività finalizzati all’obiettivo che si vuole raggiungere.
Durante la fase di Attivazione (o riscaldamento) faremo uso della pratica della Bioenergetica [ideata dallo psicoterapeuta americano Alexander Lowen] in particolare del Grounding che significa “avere i piedi sulla terra” per Lowen il terreno è interpretato come il simbolo della madre. Il radicamento è un obiettivo fondamentale del lavoro della bioenergetica e serve a riportare la persona nelle gambe e nei piedi e fa si che “si lasci scendere” e che il suo centro di gravità si abbassi. Il lavoro, le circostanze della vita ci costringono a “stare” nella testa impedendoci di vivere in modo completo le nostre emozioni.
Luciano Marchino [psicologo, psicoterapeuta e analista bioenergetico] in una lezione ci ricordava che l'uomo senza mangiare può vivere diverse settimane, un po’ meno se non beve, se non respira sopravvive pochi minuti ma, senza il terreno sotto i piedi, non può vivere neppure un secondo.
Questa fase si concretizza attraverso una messa in scena, un elaborato, un’improvvisazione di ciò che è emerso. Il partecipante al laboratorio lo vede realizzato, portato alla luce, manifestato.
Può accadere che il conduttore intenda lavorare in modo diverso, attraverso una drammatizzazione di un fatto realmente accaduto o una concretizzazione di un’emozione.
Questo tipo di lavoro è molto importante perché nello spazio scenico di semi-realtà, e attraverso il lavoro svolto nella fase pre-espressiva, il partecipante può portare fuori da sé un’emozione e sentire e vedere come agisce in lui; o può rivivere un particolare momento della propria vita, agirlo, vederlo interpretato da altri e trovare, magari, forza e voce perché il finale possa essere diverso. È possibile “agire” e lavorare anche con le metafore (Mi sento come intrappolato in un blocco di ghiaccio…).
Durante questa fase si verbalizza quanto emerso durante l’incontro. Si porta l’esperienza vissuta emotivamente alla consapevolezza cognitiva; la si interiorizza, la si porta da un piano sensoriale (dei sensi, del sentire, emozionale) ad un piano cognitivo (della testa, della consapevolezza).
Ognuno risponde portando la propria verità che non deve essere contestata o appoggiata attraverso una dialettica tra i partecipanti (Quello che hai vissuto tu mi ha fatto pensare che io…).