7 domande a Giordano Bruno Ferri

mercoledì 12 set 2018

7 domande a Giordano Bruno Ferri

a cura di Alessandro Bottelli

 

Quella di Giordano Bruno Ferri è una musica che parte da un presupposto molto semplice: lasciare nell’ascoltatore una sensazione di piacevole appagamento. Sia che scriva per le voci o per gli strumenti, che affronti il genere comico o quello sacro, Ferri intesse con il suo pubblico un rapporto basato sulla sincerità di un prodotto che prima di tutto si pone come un oggetto sonoro mai fine a se stesso, eppure capace di veicolare e rendere poesia quei valori melodici e armonici che sono, insieme al ritmo, l’essenza stessa del divenire musicale. 

 

1. A Lallio ascolteremo una sua nuovissima Ave Maria per soprano e organo, realizzata appositamente per questo concerto. Che caratteristiche ha?

Si basa sulla prima Gymnopédie di Erik Satie, ricalcandone quasi perfettamente l’armonia (mi sono preso solo una piccola licenza). La melodia principale, con il testo latino dell’Ave Maria, è invece di mia composizione, un po’ come succede per l’Ave Maria di Gounod, basata sul primo preludio del primo libro del Clavicembalo Ben Temperato di Bach. La melodia del mio brano è piuttosto semplice, come dev’essere, a parer mio, una preghiera. Ho aggiunto qualche ‘decorazione’ nella parte organistica, giusto per non lasciarla troppo spoglia.

 

2. Tra le molte Ave Maria in circolazione, ce n’è qualcuna che le piace in modo particolare? Perché?

Me ne vengono in mente due: quella tratta dall’Otello di Verdi e quella per coro a 8 voci e organo di Mendelssohn. La prima perché da sempre trovo affascinante la presenza di un brano sacro all’interno di un melodramma. La seconda per la ricchezza e l’intensità della scrittura polifonica. Si tratta di due brani che, in modi molto diversi, mi trasmettono qualcosa di veramente spirituale, più umano e terreno in quello di Verdi, più trascendente in quello di Mendelssohn, ma che sono ugualmente coinvolgenti.

 

3. Qual è la sua personale idea di musica sacra e di musica liturgica?

Non credo di avere un’idea personale di musica sacra o liturgica. Mi basta che sia bella, oggigiorno vuol già dire molto, specialmente in ambito liturgico! Nella comune messa cattolica odierna si sente davvero tanta musica “facile” (nel senso di facile consumo) e brutta. Un peccato. Certi canti a tutto mi fanno pensare tranne che a Dio, sembrano la brutta copia della brutta copia della peggiore musica leggera italiana. Peccato che nella patria di Monteverdi, Vivaldi, Rossini e tanti altri grandissimi compositori ci si sia ridotti così.

 

4. Come compositore, avrebbe qualche consiglio da dare a chi oggi scrive musica destinata al servizio liturgico?

Non essendo io un assiduo frequentatore di musica liturgica, non ritengo di essere la persona più qualificata per dare consigli specifici in merito. Come ho già detto, basta che sia una musica bella, interessante, profonda, che tocchi il lato più spirituale di ciascuno. Non basta che ci sia un testo liturgico, sacro o religioso da cantare, serve, credo, che la musica, prima ancora delle parole, aiuti la meditazione e metta, per chi ci crede, in contatto con Dio. Se non lo fa la musica non vedo cos’altro possa riuscirci.

 

5. Ha dei punti di riferimento tra i compositori viventi che si dedicano con una certa continuità anche alla produzione di musica sacra?

Mi piacciono molto le composizioni corali di Morten Lauridsen, credo che abbia una spiccata sensibilità per questo tipo di musica. I suoi brani che ho ascoltato finora mi hanno davvero colpito, molto più di tanta “fuffa” che si sente così spesso in giro.

 

6. A suo avviso, ci sono strumenti musicali che meglio di altri veicolano il concetto di sacro in musica? Quali?

Vuoi perché lo si sente (quasi) solo in chiesa, vuoi perché nella nostra cultura da sempre è associato alla musica sacra e liturgica, ritengo che non ci sia niente di meglio dell’organo per esprimere il concetto di sacro in musica. A parte forse la voce umana.

 

7. In generale, come definirebbe il suo stile?   

Probabilmente lo definirei “umorale”, nel senso che può cambiare da brano a brano, a seconda delle occasioni. Non che mi metta ogni volta a imitare per forza qualcosa in particolare, ma a seconda dell’organico, della destinazione del brano, del testo da musicare, per esempio, il mio stile può variare molto. Anche il contesto in cui verrà eseguito può influenzare lo stile. In generale cerco di non pormi limiti o di fare scelte che poi mi condizionano. Scelgo di volta in volta lo stile dei brani che compongo, esplorando possibilmente zone dove non sono ancora stato, o tornando con piacere sui miei passi quando lo ritengo più opportuno. Molto spesso comincio a scrivere lo stesso brano due, tre o anche più volte in modi completamente diversi finché non trovo la strada migliore e più soddisfacente. Qualche composizione può avere uno stile più tonale e ‘classico’, qualche altra invece più dissonante e ‘moderno’. In sintesi, per ora cerco di non chiudermi dietro a una definizione.

 

 

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