7 domande a Fausto Caporali

sabato 25 ago 2018

7 domande a Fausto Caporali

a cura di Alessandro Bottelli

 

Abbiamo rivolto al maestro Fausto Caporali, noto concertista d’organo, docente e improvvisatore, titolare del grande strumento della Cattedrale di Cremona, alcune domande in vista della prima esecuzione assoluta di una sua composizione ispirata all’arte di Gioachino Rossini nel 150° anniversario della scomparsa. Il nuovo brano organistico sarà interpretato da Elisa Teglia il 22 settembre a Lallio (Bg), nell’ambito del primo concerto della rassegna musicale Box Organi. Suoni e parole d’autore.

 

1. Maestro Caporali, quali sono i suoi più acuti ricordi rossiniani?

Il ricordo va a una specie di momento di stupore che ebbi all’ascolto della Petite Messe Solennelle a cui assistetti nella mia non vicina gioventù: quando arrivò il Preludio religioso restai colpito dall’inusuale denso tessuto polifonico in mezzo ai canti spianati e agli accompagnamenti convenzionali della restante Messa; mi chiesi allora, senza sapermi dare una risposta, dove stava il vero Rossini.  

 

2. Che opinione ha, in generale, dell’uomo e del musicista Rossini?

Non posso che concordare con l’idea di un genio assoluto e assolutamente italico, capace di coniugare ispirazione e tecnica, immediatezza comunicativa e profondità costruttiva; egli ha raccolto la tradizione tutta italiana del belcanto e del contrappunto e lo ha mutato nel romanticismo acceso e grandioso dell’ottocento.

 

3. Il nuovo brano organistico che ha scritto per il concerto di inaugurazione di Box Organi prende spunto da alcuni celebri temi del Pesarese, rielaborandoli e filtrandoli alla luce di una sana e schietta “modernità”. A suo avviso, antico e moderno in musica possono trovare un proficuo punto d’incontro? In che modo?

Ritengo che antico e moderno sono gli eterni punti di antagonismo per un compositore e che i termini del problema si pongono soprattutto se si ha riguardo al pubblico verso cui si indirizza la musica; quando il legame con il passato è troppo forte si rischia di rifare il passato, peggiorandolo ovviamente, quando si vuole abbracciare il moderno esasperato si rischia l’autoreferenzialità priva di comunicativa o l’effetto episodico. La mia soluzione è una via a metà fra inquadramento tonale, ricerca formale, discorsività tradizionale, retorica degli affetti e orecchio sulla musica più ascoltata di oggi.

 

4. Qual è l’idea portante alla base della composizione?

Sono partito dall’idea che un omaggio a Rossini deve partire dal Rossini più presente nell’immaginario collettivo, e quindi ho raccolto alcuni suoi temi più famosi e ho disegnato un brano in cui questi temi compaiono come attori di volta in volta messi in contesti retoricamente stilizzati (Preludio, Adagio, Scherzo, Finale); naturalmente il pretesto è quello di far sentire i diversi registri dell’organo, di rivisitare stralci di tradizione e di fare una sorta di apoteosi finale sovrapponendo i temi fra di loro.

 

5. È possibile affermare che, a cominciare dal titolo, anche l’ironia è uno degli elementi più rappresentativi dell’opera?

L’idea di fondo è quella della giocosità e del tratto leggero, derivato appunto dalla cifra linguistica rossiniana fatta di ariosità, velocità, sorpresa, gioco delle parti, discorsività spensierata ma mai lasciata al caso; naturalmente nei confronti della tradizione paludata dell’organo il citare temi celebri rossiniani diventa ironico gioco con la storia e con la severità a volte eccessiva dei nostri organisti puri. Nemmeno Bach era sempre serio all’organo se lo si rapporta ai suoi tempi.

 

6. Come va ascoltato GiRossini? Ha qualche suggerimento da regalare al pubblico sul modo, sull’atteggiamento da tenere durante l’esecuzione per poter apprezzare al meglio questo lavoro?

Non darei mai consigli a chi ascolta perché ritengo che il solo spiegare quello che si fa è il fallimento della musica; confido che l’ascoltatore capisca da sé il gioco sotteso alla musica e spero per me di essere stato abbastanza limpido nel mio intento.

 

7. A proposito di creatività organistica: scorge qualche figura di un certo interesse nell’attuale panorama italiano?

Non ne vedo in circolazione. Non saprei chi indicare. Effettivamente, non penso che l’organo, come l’orchestra o il pianoforte, ecc.., abbia qualche futuro: non solo perché la maggior parte degli organisti/musicisti classici si limita a “eseguire” musica del passato facendo di fatto il museo, ma perché i musicisti che stanno facendo la storia (mi riferisco all’enorme massa di musica di consumo che costituisce la grandissima parte del panorama musicale odierno), ignorano l’organo e non lo chiamano a veicolare sentimenti o emozioni di oggi; neppure la chiesa commissiona più opere per il suo strumento istituzionale e la collocazione liturgica è un impiego senza dubbio nobile, ma troppo spesso non richiesto di contenuti artistici; secondo me è solo il dialogo e l’unione con gli altri strumenti, anche  modernissimi, che può togliere l’organo dal suo angolo dorato, ma certo se non vi è una funzionalità culturale, non vi è neppure la necessità di un “esserci”.

 

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