5 domande a Annalisa Manstretta

5 domande a Annalisa Manstretta

a cura di Alessandro Bottelli

 

1. Che cosa l’affascina di più del vasto universo vegetale?

Il fatto che le piante appartengono ad un altro regno, rispetto al regno animale che è il nostro. Dunque mi affascina la loro profonda diversità, e poi le regole ‘altre’ della loro vita, la loro intelligenza non basata su un organo così ‘ingombrante’ e ‘accentratore’ come il cervello. Mi affascina il fatto che vivano in un tempo circolare, ciclico e non lineare come quello umano e poi la loro saggezza senza parole.

 

2. Qual è l’atteggiamento che un poeta deve adottare per avvicinarsi al mondo tranquillo e misterioso dei fiori?

Un atteggiamento di grande rispetto e umiltà. Il mondo vegetale è vastissimo, vi è mai capitato di chiedervi “quanto è grande una primavera?” confrontandoci con questa ampiezza il nostro contorno umano diventa irrisorio. Per non parlare della profonda dipendenza che l’uomo ha nei confronti del regno vegetale.

 

3. Come mai, in generale, si è così poco “istruiti” nella civile pratica di riconoscere piante e fiori? Pensa che i poeti potrebbero svolgere un ruolo importante in questo senso?

Perché siamo abituati a relegare tutto ciò con cui veniamo in contatto facilmente e piuttosto spesso nell’ambito dell’ovvio e del poco interessante. Anche presso coloro che vivono in e della campagna ho notato un certo disinteresse, se non una svalutazione dei fiori di campo. Si preferiscono di gran lunga i pretenziosi fiori da giardino e di quelli sì, si imparano i nomi e i modi migliori di coltivarli.

Io sto cercando con pazienza di farmi una cultura sui fiori di campo più comuni, alcuni dei quali sono davvero notevoli (basti pensare ai fiori della salvia selvatica o a quelli della borragine) e anche sulle varie specie di graminacee. Non sopporto più di relegare tutta questa magnificenza vegetale nell’anonimato.

Non so se i poeti siano le persone più adatte a questo compito. I poeti seguono le più diverse ispirazioni. Alcuni non sono per nulla interessati alla natura.

Io, come poetessa singola, sento la necessità di maggior vicinanza e comprensione del mondo vegetale che, non dimentichiamolo, vive sulla terra da molto prima di noi. Ma è un’esigenza personale, non deriva dal mezzo poetico. L’avrei avuta anche se non avessi scritto mai poesie. Se non avessi avuto talento poetico forse sarei diventata un botanico, un naturalista, un guardia parchi… chissà…

 

4. Perché, tra i tanti fiori possibili, ha scelto quale oggetto della sua poesia proprio il bucaneve?

I bucaneve, come dice il nome, sono tra i primissimi fiori a spuntare. Bucano il rigore dell’inverno. Sono, a loro modo, dei temerari, ma non lo gridano ai quattro venti, tengono il capo chino. Sono d’accordo con loro: le cose importanti si costruiscono in tranquillità e silenzio.

 

5. Tradurre in parole la bellezza di un fiore vuol dire anche espandere illimitatamente la fragranza del suo profumo?

Non so. Molti fiori non hanno profumo. Il profumo è un elemento tra i tanti che possono caratterizzare un fiore. Il poeta dovrebbe ambire a fare qualcosa in più: tradurre in parole la presenza del fiore.

 

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